Critics

Critics

Claudio
Castellini

Esistono linguaggi nel vasto mondo dell’arte dove la tecnica ha un ruolo primario.
Penso banalmente all’iperrealismo, dove l’assenza di un effetto “fotografico” compromette il risultato dell’opera, o a tecniche che hanno, per così dire, un impianto più artigianale nell’esecuzione, come l’incisione, nelle sue varie declinazioni, o l’intarsio. In particolare in quest’ultima tecnica, la scelta errata delle essenze lignee, la composizione non adeguata delle venature e soprattutto la mancanza di precisione nel taglio dei materiali e nella realizzazione delle giunte rendono il risultato sgradevole al di là della composizione dell’immagine.
Non esula da queste problematiche il Gyotaku, tecnica che possiamo considerare piuttosto giovane, che proprio per la sua funzione originaria e per la delicatezza dei materiali impiegati impone capacità realizzative che lasciano poco margine all’errore, all’approssimazione. Non mi soffermo su origine e dettagli di questa tecnica, ben riassunti e raccontati in questo volume in un capitolo dedicato. Compito mio è al limite constatare come Elena Di Capita, nel rispetto di questa nobile arte, sappia coniugare alla perfezione i diversi elementi elaborando opere che sono senza dubbio fedeli e rispettose della funzione primordiale del Gyotaku. Ecco quindi che le specie ittiche utilizzate sono ben riconoscibili (aspetto che potremmo considerare come “il minimo della pena”) ma soprattutto restano evidenti i dettagli, dalle piccole pinne all’assenza di una squama in un’acciuga, da una lesione causata dall’azione di pesca alla incredibile geometria della pelle di un tonno.
Spostando un po’ più in là il punto di vista, non posso tuttavia non riflettere su come il peso della tecnica rischi in certi linguaggi di oscurare l’espressione artistica, che peraltro non è lo scopo per il quale il Gyotaku nasce.
Elena è solo tecnica e il suo lavoro ad essa è limitato?
No, decisamente no. La giovane artista ha fatto sua la tecnica per poi piegarla a finalità che esulano dalla sua originaria funzione. Lo si capisce immediatamente osservando le sue opere e se ne ha conferma parlando con lei.
I motivi sono diversi. Partono certamente dalle sue origini e dal sentir proprio il raccon- to di un mare che, con il suo tesoro di specie stupende, è cultura, è storia, è tradizione, è modo di essere, di vivere, di intendere il mare stesso. Ecco quindi che Elena non si limita ad imprimere una sagoma su un supporto ma la fa diventare racconto, pregno di infini-
te sfaccettature e misteri, profondi come è il nostro mare, quel mare dove lei è cresciuta. Lavora poi sulla composizione delle opere, restando certamente fedele alla natura che popola le sue carte e le sue tele, ma restituendone quel dinamismo che riesce a farci entrare nell’opera, per sentire i suoni ovattati del movimento subacqueo, per vivere tanto la pace delle meduse che fluttuano come danzatrici nel mare quanto la drammaticità delle piccole acciughe che sfuggono al rostro della aguglia imperiale. È doveroso in questo contesto sottolineare la capacità dell’artista di donare volume e profondità ai suoi lavori; ma è giusto evidenziare come ciò avviene giocando con abilità sui toni grazie alla giusta applicazione della tecnica, certamente, ma ancor più grazie alle sue consapevolezze artistiche, maturate nei suoi studi e nel suo percorso. 

Si spinge infine oltre, Elena, utilizzando i suoi soggetti per approcciare racconti diversi, me- tafore della vita dentro e fuori dal mare. Opere che parlano di movimento e di unicità, di masse che muovono compatte, forse inconsapevoli, e soggetti che seguono il loro percorso, incuranti del mondo che li circonda, forse proprio come ha fatto lei, come fa ogni artista. Basta un colore diverso per circoscrivere il racconto. Basta la variazione di tonalità per accendere l’opera. E anche così la componente artistica si manifesta, si compie, vive. 

Il quadro è quindi chiaro, il profilo completo: Elena Di Capita non solo è una degna portavoce della tecnica del Gyotaku ma è anche artista alla quale va riconosciuto il merito di aver saputo trasformare il semplice linguaggio in poesia. Può sembrare una considerazione banale ma è invece ciò che è capitato, nei secoli, per le tecniche citate in apertura, che pur restando fondamentalmente coerenti nell’esecuzione grazie alle abili mani di chi le ha applicate, si sono via via arricchite di nuove funzioni e finalità grazie al cuore che quelle stesse mani ha guidato. 

Se posso concedermi una considerazione poco artistica, non posso non rilevare come il lavoro di Elena trovi un riscontro nel mondo del collezionismo, sia quello più consolidato che quello giovane, che va decisamente controcorrente in questo preciso momento storico. Segno evidente della bontà del suo operato, della validità della tecnica del Gyotaku e dell’interesse che sa accendere nell’osservatore. 

Elena Di Capita merita certamente di essere osservata e seguita in questo suo percorso anche perché i progetti che sta avviando, e che è prematuro anticipare in queste pagine, rivela- no un fermento artistico e una fertilità espressiva che chiamano necessariamente attenzione. Posso solo aggiungere che i confini della sua ricerca espressiva pare non abbiano limiti, il rispetto per la tecnica sembra quasi religioso. Credo di poter affermare, senza temere smentita, che i pescatori giapponesi che nei primi decenni del XVIII secolo crearono questa tecnica, oggi sarebbero fieri e felici di vedere dove la sta portando. 

Claudio Castellini 

Marc Porrini
 Président de Gyotaku Art Europe

Nel panorama internazionale Elena Di Capita appartiene a quella ristretta cerchia
di artisti che contribuiscono a uno svilup-
po artistico ispirato all’arte tradizionale giapponese del gyotaku. L’impronta grezza “ricordo di pesca” a china su carta washi che i pescatori giapponesi fanno per immortalare una pescata eccezionale colpì subito Elena che creò questi famosi letti di acciughe e divenne ben presto “quella delle acciughe”. Con eccezionale talento, le opere della spu- meggiante artista ligure rendono omaggio al pesce più popolare nella sua terra d’origine, a questa magnifica regione e ai suoi pescatori. Le sue opere sono composizioni dinamiche
e tridimensionali che trascendono l’icono- grafia tradizionale giapponese. La ricerca di chiaroscuri, ombre e composizioni piene di dinamismo riflettono la sua origine. La sua ricerca come artista continua sperimentando costantemente nuovi metodi, nuovi mate- riali e nuovi soggetti, che pur rispettando il significato profondo del gyotaku, trascendo- no e arricchiscono questa arte tradizionale giapponese.

Domo arigato Elena
Marc Porrini
Président de Gyotaku Art Europe

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