La tecnica del pesce stampato

imprónta2 s. f. [der. di improntare1]. – 1. Segno che lascia un corpo impresso su un altro.
impressiónes. f. [dal lat. impressio –onis, der. di imprimĕre «imprimere», part. pass. impressus]. – 1. a. Atto ed effetto dell’imprimere, di lasciare cioè una traccia, un’impronta in un corpo mediante la pressione, e l’impronta stessa che vi rimane. […]L’effetto, l’impronta che la realtà esterna determina, col suo intervento diretto o indiretto, sulla coscienza; e quindi ogni forma di esperienza, conoscitiva o emotiva, in cui la coscienza appaia colpita dallo stimolo esterno, e presenti rispetto ad esso un atteggiamento di passività.  (Da dizionario Treccani)

Gyotaku 魚 拓

Le origini della pratica del gyotaku sono ancora nebulose. Il suo passato non è ben chiaro ed il presente è diviso tra le varie scuole che, a loro volta, debolmente dialogano tra di loro.

Fare l’impronta di un pesce (魚 gyo = pesce + 拓 taku = impronta)
è originariamente una tradizione legata ai pescatori in Giappone per conservare la memoria di una cattura importante, come una sorta di istantanea di un trofeo. Il pesce veniva colorato con un inchiostro a base di fuliggine, resina e colla (sumi) su cui poi veniva adagiato il foglio (washi) sul quale si faceva un’impronta (metodo diretto Takugi-ga); l’immagine veniva, poi, corredata dalle informazioni legate al pesce; specie, misura e peso, il nome del pescatore, e la data. I due esemplari più antichi sono datati 1839 (Era “Tempo”) dal XIX sec. in poi; molti gyotaku sono stati realizzati dagli abitanti della prefettura Yamagata (Shonai).

Da questa pratica nacque il gyotaku artistico, portato avanti da pochi maestri:

Metodo diretto

l’evoluzione principale del metodo tradizionale è l’apporto del colore al posto dell’inchiostro nero. Mediante una sequenza di tonalità scure (Kyo), medie (Tyu) e chiare (Jiaku) sfumate con l’ausilio solamente del pennello, si dipinge direttamente sull’animale la livrea della specie in questione; la conseguente impronta, è ottenuta stendendo un foglio sopra il pesce colorato e, attraverso sfregamenti e pressioni con le dita, si ottengono i dettagli anatomici. Al termine di questa procedura si dipinge l’occhio a mano libera. Il Maestro Masatzu Matzunaga è il fautore di tale tecnica. Egli ha fondato l’associazione Takuseikai art gyotaku nel 1977 a Osaka, ed è il maestro dal quale ho appreso la tecnica diretta colorata. Difetti di stampa, quali parti bianche, o dettagli poco nitidi, sono considerati come peculiari della tecnica, in cui si ha solo una possibilità alla stregua del “O la va, o la spacca”. Ritoccare i difetti equivarrebbe a non cogliere l’aspetto di istantanea e di impronta del pesce scivolando verso il dipinto. La tempistica è essenziale: in base all’umidità relativa si ha un tempo massimo di 30/40 minuti per eseguire la stampa, ed il risultato è sempre una sorpresa anche per l’operatore, in quanto si lavora sul retro del foglio.

Metodo indiretto

Sviluppato negli anni ’40 in Giappone ma con un legame con una tradizione cinese del taku-hon (拓本), consiste nel preparare il pesce pulito e applicando il supporto (carta o stoffa) direttamente su di esso; in seguito, l’impronta del pesce è ottenuta tamponando la superficie con del colore poco diluito mediante l’utilizzo di tamponi; anche in questo caso, i passaggi dei vari colori sono codificati da una sequenza. A differenza del metodo diretto, si ha totale controllo del risultato, poiché si lavora direttamente sul lato del risultato, e si ha tutto il tempo di intervenire sull’effetto desiderato. Il nome di questo metodo è Tatsunoko-kai del maestro Ryuzaburo Takao, che include artisti quali Ryutaro Ohno, Haryu Ide, Mineo Sakamoto. [2]

In entrambi i metodi vige il divieto di ritocco sull’impronta, ad eccezione degli occhi. Se l’immagine viene ritoccata non è considerata gyotaku.

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